Giovanni Ridolfi

a cura di Giuseppe Magroni
Foto di Alberto Mirimao

Le origini

Il giovane birraio Giovanni Ridolfi vuole raccontare la sua Valnerina attraverso i sapori e gli odori delle sue birre artigianali, ma anche attraverso le etichette. Una sfida che promette bene dato che le sue birre, il marchio è “Magester”, sono molto apprezzate e produzione e mercato sono in espansione.

È una storia tutta umbra quella di Giovanni Ridolfi, 36 anni, originario e residente a Ferentillo, figlio di commercianti nel settore alimentare, laureato in Agraria all’università di Perugia. Ed è proprio qui, nell’ateneo perugino, che l’allora studente intuisce quale sarà il proprio futuro lavorativo. “Mi sono laureato in Agraria a Perugia nel 2012, prima avevo frequentato le Industriali a Terni, una vera scuola d’eccellenza, e conseguito il diploma di perito chimico, – racconta Ridolfi – una laurea magistrale con tesi in Biotecnologie degli alimenti. Una parte della didattica del corso universitario era concentrata sulla birra. A Perugia c’è un centro d’eccellenza per la ricerca sulla birra. Fanno corsi per formare i birrai, analisi del prodotto, ricette per nuovi prodotti, ricerca su problematiche dei processi produttivi, maltazione, utilizzo dei luppoli in Italia. Ovviamente, per gusto e per ragioni di studio, bevevo birre. Soprattutto quelle birre artigianali dai diversi stili che proprio in quegli anni iniziavano ad espandersi in Italia. Dopo la laurea potevo scegliere di fare il libero professionista, il certificatore di qualità oppure entrare come dipendente in un’azienda alimentare. Dopo un anno sabbatico ho deciso di intraprendere la professione di birraio”.

Ribollono i mosti nei fermentatori d’acciaio del piccolo birrificio della zona artigianale di Ferentillo. Giovanni Ridolfi, testa rasata, barba folta, occhi intelligenti e furbi, ha l’aspetto di un monaco medievale come quelli che abitarono per secoli l’abbazia della vicina San Pietro in Valle, un monaco birraio come tanti ce ne furono. Ridolfi del monaco antico possiede sicuramente la sapienza. All’inizio spiega cosa è una birra. “Il componente base – dice – è il malto d’orzo. Poi c’è il luppolo, che è il fiore femminile di una pianta infestante che noi chiamiamo “lupari”. Fiori femminili non fecondati che formano resine che servono a catturare i pollini. Queste sostanze vengono inserite nella bollitura dei mosti e servono a dare alla birra quel gusto amaro che bilancia il dolce del malto. La pianta è la stessa ma, come per la vite, ne esistono tante varietà che danno al malto sapori e profumi diversi. La differenza è anche nel processo produttivo perché il luppolo può essere inserito a caldo nella bollitura oppure a freddo dopo la bollitura. Poi la varietà delle birre dipende dalla torrefazione del malto, dalla miriade di altri ingredienti naturali che vengono inseriti nel processo. Il limite è la fantasia del birraio. Produco anche una birra natalizia con gli ingredienti del pampepato ternano: caffè, nocciola, uvetta, mosti cotti e miele”.

La storia

L’avventura artigianale inizia a dicembre del 2013. “Acquistai – racconta – un impianto pilota usato da cento litri, pagato 12mila euro, da un ragazzo di Parma che lo aveva dismesso perché aveva comprato un impianto più grande. Acquistai questo impianto a Sondrio accompagnato da mio padre. Il primo birrificio l’ho aperto in una ex macelleria a ridosso della piazza principale di Ferentillo. Le prime birre sono uscite a luglio del 2014”.

Sono le prime birre del marchio Magester. Sembra un refuso, invece è una storia antichissima. La missione imprenditoriale di Giovanni Ridolfi è stata fin dall’inizio quella di fare una birra della Valnerina e ha iniziato proprio col nome. “Il nome Magester – e qui il birraio mentre parla sembra proprio un monaco medievale – viene dall’abbazia longobarda di San Pietro in Valle, a pochi chilometri da Ferentillo, il mausoleo dei duchi longobardi di Spoleto. L’altare è longobardo, una lastra lapidea che raffigura il duca longobardo Ilderico nella fase di guerriero poi quando si è fatto monaco. Sulla raffigurazione del duca guerriero c’è scritto in latino Ursus magester fecit.

Il maestro Ursus fece l’opera, e qui c’è l’errore, magester invece di magister. Ma questo nome, magester, mi ha ispirato: un maestro medievale che univa sapienza a manualità, un po’ come noi birrai. L’altro personaggio della pala lapidea è il duca che si è fatto monaco. Nella pala ci sono due pavoni che bevono da una coppa sopra la sua testa e che simboleggiano il battesimo. Nel mio marchio sono diventati due pavoni che bevono da un bicchiere di birra”.

Brontolano placidamente i fermentatori mentre il giovane maestro artigiano prosegue il racconto.

Le prime birre

È l’estate del 2014 e dalla linea di produzione escono le prime due birre: una bionda e una rossa. La prima si chiama Ursus, come l’autore della lastra dell’abbazia; la seconda Cerevisia pop. “Cerevisia – dice Ridolfi – è il nome latino della birra, pop sta per populus. La birra del popolo”. Le due birre artigianali piacciono. Il giovane birraio le distribuisce ai ristoranti e ai pub del territorio. Sono birre artigianali non legate alla chimica; non vengono utilizzati additivi; la chiarificazione avviene tramite la tecnica del freddo. Una volta che è finita la fermentazione il mosto viene portato a zero gradi e il liquido diventa chiaro. All’inizio il birrificio produce 600 litri al mese, ma non bastano, le due birre piacciono e le richieste si impennano. Bisogna aumentare la produzione.

“A questo punto acquisto un impianto, sempre usato, a Prato, in grado di produrre tremila litri al mese. Con il nuovo impianto arriva anche la terza birra, chiamata Saturno 500 in onore della moto di Libero Liberati. Una birra di stile americano che prevede l’utilizzo del luppolo a fine fermentazione, con una nota d’amaro, frutta esotica e agrumi. La quarta birra è la Feronia, dea preromana delle messi. A Narni c’è la fonte Feronia. La Feronia utilizza per la prima volta prodotti locali, miele di Ferentillo che viene aggiunto dopo la fermentazione”. Intanto anche l’Umbria cresce nel settore. Una malteria, I mastri birrai umbri, inizia a coltivare e a trasformare l’orzo, accorciando le linee produttive e consentendo di produrre con materie prime locali.

Oggi

Le richieste aumentano e l’ex macelleria è diventata troppo piccola per il giovane birraio che si trasferisce in un capannone nella zona artigianale di Ferentillo. È il gennaio del 2020 e improvvisamente tutto si ferma a causa del Covid. Una interruzione di cui Giovanni Ridolfi approfitta per creare nuovi tipi di birra: la Bianca merangola, una birra che ha il sapore della merangola: arancia selvatica, un frutto raro della Valnerina; la Pampepata che ha gli ingredienti del dolce natalizio ternano; la Saison di Farro che utilizza il farro locale; la Dubbel che ha tra i suoi ingredienti zucchero candito bruno e miele di castagno di Ferentillo. Birre dal gusto deciso, come quella dedicata al campione Libero Liberati, birre dolci e birre amare, birre con tanti retrogusti particolari. Lo spazio più grande e il piccolo giardino adiacente al capannone consentono al giovane birraio, che intanto viene affiancato da una collaboratrice, Roberta Pagnotta, di organizzare degustazioni nei finesettimana: il classico aperitivo, stuzzichini, con le sue birre al posto dei vini. I clienti sono i ragazzi del territorio e molti turisti. Nel giardino vengono organizzati anche eventi sempre legati alla birra. Ridolfi restaura una bici carretto degli anni Venti, una Doniselli, e con questa fa catering nei matrimoni e in altri eventi. Allestisce un furgone particolare e con questo va in giro per le feste della birra dell’Italia centrale. Il birrificio Magester oggi produce circa 26mila litri di birra all’anno; l’obiettivo, a fine 2024, è di arrivare a 40mila litri. Il progetto è di raddoppiare la cantina, mettere più fermentatori e una imbottigliatrice più performante. Aprirsi al mercato nazionale ma restando medi, senza manie di grandezza”.

Una crescita tranquilla, come tutto è tranquillo e operoso in Valnerina. Come placido è il brontolio dei mosti di malto alle spalle del barbuto maestro birraio che è stato ispirato dal monaco guerriero longobardo di San Pietro in Valle.